sabato 10 gennaio 2015

"Milioni di piccoli apolidi. Generazione senza futuro"

Piccoli apolidi. Sono i più visibili degli invisibili. Sotto gli occhi di tutti, anche se per legge non sono mai nati. Li trovi a rovistare la spazzatura nelle periferie di Sidone, a vivere come gatti nei sobborghi di Amman. A chiedere la carità nel quartiere beirutino di Ashrafia o a far da preda di qualche adulto zozzo. L’Organizzazione delle nazioni unite li stima per difetto: trentamila soltanto in Libano. Di sicuro ce ne sono altre migliaia sparpagliati fra tutta la Giordania, la Turchia, l’Egitto, l’Iraq, perfino in Europa.
Bimbi fantasma. Figli di genitori che sono scappati dalla Siria. Nomi e date di nascita mai registrati all’anagrafe: «Talvolta, i documenti sono rimasti sotto le macerie della guerra — spiegano all’Unicef—. Ma il problema per i più è che sono nati in qualche modo, venuti al mondo con ostetriche improvvisate, da genitori che hanno la priorità di sopravvivere e non hanno certo i soldi per una pratica, perché il certificato costa… Abbiamo anche 3.500 piccoli senza famiglia e senza identità. Hanno attraversato il confine da soli, girano abbandonati. In qualche caso, lo choc ha fatto loro dimenticare tutto».
I profughi apolidi nel mondo sono dieci milioni, ma il dramma siriano è il più acuto: il sans papier sotto gli 11 anni non ha accesso nemmeno ai servizi di base. Nessuno che metta per iscritto come si chiami, né quando sia nato, né dove, né da chi. Per lui, non c’è alcuna possibilità di andare a scuola. Un giorno, gli sarà quasi impossibile lavorare, sposarsi, avere un’esistenza normale, mentre ora è altissima la probabilità d’essere adottato in nero, reclutato, sfruttato, fatto prostituire.
«Molti sono abbandonati al loro destino — riconosce Anmar al Hamoud, portavoce del governo giordano —, ma non siamo noi a poterci pensare: l’emergenza è già oltre il tollerabile…». «È in gioco un’intera generazione d’innocenti», denuncia l’Unicef: «Chi scappa, si lascia una storia alle spalle. Chi nasce apolide, non ha nemmeno quella». Domani, qualcuno di questi bambini tornerà in Siria. È probabile. Ma nessuno saprà dirgli chi è.
Francesco Battistini

Articolo pubblicato dal Corriere della Sera il 29 dicembre 2014